sabato 24 gennaio 2009

Anatocismo bancario


Questa settimana affrontiamo una problematica molto diffusa ed attuale, quella dell'anatocismo bancario.
Con il termine anatocismo si intende la capitalizzazione degli interessi sul capitale, affinchè essi siano a loro volta, produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi). Nella prassi bancaria si parla di “interessi composti”e viene effettuata con periodicità trimestrale o semestrale,
Occorre premettere che, trattandosi di un argomento alquanto difficile e tuttora in corso di chiarimenti e precisazioni da parte della Corte di Cassazione, e verrà affrontato in modo da renderlo il più comprensibile possibile ma, difficilmente la sua trattativa in questa sede potrà essere esauriente.
Partendo dalla sua definizione, ci occuperemo di chiarire come questo veniva applicato dalle banche, nel periodo antecedente i vari interventi della Corte di Cassazione (dal 1999 in poi).
Il fenomeno dell'anatocismo bancario è quella pratica, in uso fino a pochi anni or sono presso quasi tutte le banche italiane, secondo cui gli interessi a debito del correntista venivano liquidati (sul conto) con frequenza trimestrale, mentre gli interessi a credito dello stesso erano liquidati con cadenza annuale.
Ciò provocava un disallineamento nella maturazione degli interessi a debito ed il conseguente fenomeno dell'anatocismo, perché venivano calcolati interessi su interessi, secondo le modalità sopra descritte; tutto ciò andava quindi ad incidere in modo pregnante sui costi del conto corrente, dei prestiti e, di conseguenza, sulla capacità economica della famiglia o delle imprese.
Facciamo un esempio: se un correntista aveva un conto “in rosso” per 10.000 €, la banca gli addebitava ogni tre mesi i relativi interessi; in questo caso, ad un tasso del 10%, erano 250 euro che andavano a gravare subito (senza attendere la fine dell’anno) sul capitale a debito. Quindi, i successivi interessi a debito venivano calcolati non più su 10.000 € ma su 10.250 € e così via; con questo sistema il correntista si trovava a pagare, a fine anno, un monte interessi più alto rispetto ad un calcolo annuale.
Nell'ordinamento giuridico italiano, è sempre esistito il divieto dell'anatocismo (art. 1283 del Codice Civile).
Ciò nonostante, le Banche agivano “legittimamente” quando applicavano detta metodologia di calcolo, perché tale comportamento era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza. Il tutto fino al momento in cui è iniziato tutto il processo di revisione interpretativa delle norme riguardanti l'anatocismo, con le sentenze cosiddette della “primavera del 1999”, e fino alla famosa sentenza della Corte di Cassazione del 4 novembre 2004, n. 21095.
Prima di questa sentenza, l'art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/1999, comma 2, (che ha introdotto un nuovo comma all'art. 120 del Testo Unico Bancario, D. Lgs. n. 385/1993), prevedeva la possibilità di stabilire, tramite un'apposita delibera del CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio), le modalità ed i criteri di produzione degli interessi sugli interessi, maturati nell'esercizio dell'attività bancaria, purché fosse rispettata la stessa periodicità nel conteggio sia dei saldi passivi, sia di quelli attivi. Successivamente, la sentenza del CICR emanata il 9 febbraio 2000, ha definitivamente fissato il momento di decorrenza dell'obbligo, a carico delle Banche, di riconoscere ai correntisti pari periodicità nella liquidazione degli interessi.
Nondimeno, nello stesso decreto n. 342/1999 (c.d. Decreto salva-banche), il legislatore stabiliva nel contempo, con norma transitoria, una vera e propria sanatoria per il pregresso, facendo salve le clausole di capitalizzazione trimestrale contenute nei contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina.
Tale norma transitoria è stata però dichiarata illegittima per violazione dell'articolo 77 della Costituzione, dalla Corte Costituzionale con sentenza del 17 ottobre 2000 n. 425.

Il processo di revisione al momento si può considerare concluso con la già citata sentenza del 4 novembre 2004 n. 21095, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella quale in sostanza si afferma l’illegittimità, anche per il passato, degli addebiti bancari per anatocismo.
In sostanza, la Corte afferma che le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori precedenti al 1999, non sono mai state rispondenti ad uno uso normativo, bensì negoziale e quindi in contrasto con il principio contenuto nell’art. 1283 che, laddove fa salvi gli “usi contrari”, fa riferimento solo ed esclusivamente agli “usi normativi” di cui agli articoli 1 e 8 disp. Prel. C.C..
L’uso normativo consiste infatti, come riportato nella sentenza, nella “ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento, accompagnato dalla convinzione che si tratta di comportamento giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento giuridico” (sentenze 2374 e 3096 del 1999).
In altre parole le clausole anatocistiche sono state accettate non perché gli utenti fossero convinti della loro rispondenza a principi dell’ordinamento giuridico, ma piuttosto perché costretti ad accettarle per poter accedere ai servizi bancari.
Questo atteggiamento psicologico è ben lontano da quella spontanea accettazione che contraddistingue invece la consuetudine come istituto giuridico.
Ne consegue che, (come da orientamento oramai costante della Corte di Cassazione: Cass. Civ. 18 settembre 2003, n. 13739; Cassazione Civile, Sez. I, 1 ottobre 2002, n. 14091; Cassazione, Sez. I, 28 marzo 2002 n. 4498; Cassazione, Sez. I, 28 marzo 2002 n. 4490; Cassazione, Sez. I, 1° febbraio 2002 n. 1281; Cassazione, Sez. I, 11 novembre 1999 n. 12507; Cassazione, Sez. III, 30 marzo 1999 n. 3096), si dovranno ritenere nulle tutte le clausole bancarie riguardanti l'anatocismo, il cui inserimento nel contratto sia il frutto di una mera volontà unilaterale della banca (c.d. Clausole vessatorie).
Non solo. Anche le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dovuti dal cliente ad una banca sono nulle, in quanto esse non rispondono ad un uso negoziale, anche se le stesse siano nel contratto specificate come "conformi alle norme bancarie uniformi”.
Il merito della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione è quello di confermare tale orientamento partendo dalla constatazione che gli utenti si sono adeguati alla imposizione della capitalizzazione trimestrale dell'interesse passivo, non perché "convinti" che fosse conforme alla normativa del settore, ma perchè capziosamente inserita nei moduli unilateralmente predisposti dalle banche, la cui sottoscrizione costituiva elemento imprescindibile per poter accedere ai servizi bancari.
Le clausole anatocistiche, quindi, sono da considerarsi sempre e comunque invalide, anche quelle relative a rapporti bancari anteriori al 1999.

Venendo ora ad affrontare l'aspetto pratico della questione, la domanda che viene frequentemente posta è questa: “E’ possibile chiedere la restituzione di quanto pagato indebitamente?
Personalmente, mi auguro che si possa seguire una strada transattiva senza intasare i tribunali (o giudici di pace per importi più modesti), dimostrando in tal modo alla collettività ragionevolezza e, soprattutto, una forma di ritrovata e reciproca fiducia, quale unico e vero patrimonio di ogni sistema creditizio.
Detto questo, “SI”, è possibile chiedere la restituzione delle somme indebitamente versate alle banche, chiedendo la rideterminazione del capitale preso in prestito mediante applicazione ad esso degli interessi passivi annuali e non di quelli trimestrali.
E’ necessario, tuttavia, che la restituzione venga richiesta entro 10 anni dall’estinzione definitiva del rapporto contrattuale con la banca. (ovvero entro 10 anni dalla fine del rapporto di mutuo o di altro rapporto bancario in forza del quale l’istituto di credito abbia concesso finanziamento al cliente ).
Se, nonostante ciò, la banca non aderisce alla richiesta, è necessario agire in giudizio.

Avv. Arturo Varricchio


pubblicato su Benevento Giornale - La voce del Sannio il 24 gennaio 2009