mercoledì 11 novembre 2009

l'avvocato risponde: E' giusto pagare la borsa della spesa?

“Vorrei capire perché io consumatore, ogni volta che mi reco in un supermercato, sono obbligato a pagare 3, 4 o addirittura 5 centesimi per il sacchetto di plastica dove poi metto la spesa. Trovo ingiusto pagare una borsa di plastica con stampata sopra la pubblicità dello stesso supermercato, il quale in tale ipotesi, per assurdo, dovrebbe essere lui a pagare me come testimonial, dal momento  che porto in giro il suo marchio facendogli indirettamente pubblicità. Inoltre, in qualsiasi altro esercizio, per qualsiasi altro prodotto acquistato (vestiti, scarpe,  libri, cd musicali, ecc...), il sacchetto con il nome del negozio mi viene fornito sempre gratuitamente. Allora, perché mai nei supermercati lo devo pagare? Posso rifiutarmi di pagarlo?”
Lettera firmata

 Il quesito del lettore è fondato ed interessante poiché, senza dubbio, con questo sistema il supermercato in questione “usa” letteralmente il suo cliente come vero e proprio veicolo pubblicitario, in quanto la busta marchiata, una volta uscita dal supermercato, percorre le vie cittadine, raggiunge le case e spesso  ritorna in circolazione come contenitore per altra merce od oggetti di casa del consumatore;  in tal modo viene raddoppiata l’efficacia della diffusione del logo del supermercato.
Tutto questo è ben noto ai gestori di supermercati che, per tale ragione, non rinunciano a questo veicolo di promozione (questo vale anche per il piccolo distributore), pur se con modalità diverse.
Invero,  molti distributori commerciali offrono la busta della spesa con il loro logo impresso del tutto gratuitamente,  ma tale gratuità è solo apparente, in quanto nei ricarichi del prezzo al consumatore del singolo prodotto, vi è percentualmente presente anche il costo pro quota della pubblicità, rappresentata dalla produzione e stampa della busta.
 Altri distributori, al contrario, gravano il servizio reso al consumatore (vale a dire la messa a disposizione di una busta per contenere la merce acquistata) di una somma sicuramente irrisoria, ma che comunque rappresenta un qualcosa di non dovuto. Infatti, partendo dal presupposto che il costo della busta sia già ampiamente ed opportunamente ricaricato sul prezzo finale del prodotto acquistato, ne deriva che qualunque cifra a qualunque titolo sia chiesta per la disponibilità della busta potrebbe rappresentare un atteggiamento censurabile sia in fatto che in diritto.
In effetti il vantaggio rappresentato dalla pubblicità capillare che la circolazione della busta della spesa rappresenta, dovrebbe già indurre il venditore a ritenersi “pagato” per i costi sostenuti, costi che, per quanto sopra esplicitato, sono già comunque sicuramente coperti dal ricarico sul prezzo finale del bene acquistato.
Detto ciò, bisogna anche dire che vi sono piccoli rituali ai quali, spesso, non diamo importanza ma che assumono un significato giuridico specifico. Ad esempio, la monotona e ripetitiva richiesta delle cassiere dei supermercati: “vuole un sacchetto”? “Le serve una busta”? Fanno vedere la questione da un'altra angolazione, vale a dire che il sacchetto è a disposizione del consumatore   il quale non è costretto ad acquistarlo ma è libero di accettarlo o meno.
In conclusione, la risposta al lettore non può che essere negativa in quanto  l'acquisto della busta del supermercato non è mai imposto, ma è un servizio che viene elargito su richiesta. E' vero infatti che il consumatore è libero di recarsi a fare spesa già munito di buste o carrellini per la spesa.


                                                                                                                 Avv. Arturo Varricchio

pubblicato su BENEVENTO Giornale - LA LIBERA VOCE DEL SANNIO

in data 13 novembre 2009

lunedì 7 settembre 2009

Disagio giovanile: sempre più numerosi i giovani alcolisti.

LA PIAGA SOCIALE DELL'ALCOLISMO

L'Alcolismo o Etilismo è una condizione in cui un individuo ingerisce volontariamente una quantità eccessiva di alcool etilico, per alterare volontariamente la propria coscienza. L'Alcool, produce uno stato tossico generale dell'organismo (provoca inappetenza con conseguente deperimento) e finisce per condizionare tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Tra gli effetti negativi e degenerativi ricordiamo quelli a carico: a)del sistema nervoso, con deficit della memoria e della capacità di apprendimento; b) dell' esofago e dello stomaco, con gastrite ed emorragie gastrointestinali; c) del fegato e del pancreas che provocano cirrosi epatica e pancreatite acuta; d) del sistema cardiocircolatorio, con aumento della pressione sanguigna.
Chi ricorre abitualmente all'alcool, mette in serio pericolo la propria vita. Infatti, secondo le più recenti indagini statistiche l'alcol uccide più della droga in quanto, oltre a provocare innumerevoli patologie, può condurre i soggetti all'omicidio o al suicidio. Non dimentichiamo poi, che chi si dedica all'alcool non mette a repentaglio solo la propria vita ma anche quella degli altri, basti pensare che numerosi incidenti stradali sono provocati da giovani che guidano in stato di ebbrezza. 
Un tempo gli individui che più venivano colpiti dall'alcolismo erano gli adulti di sesso maschile, oggi invece il fenomeno si sta diffondendo in modo più frequente e preoccupante tra i giovani e le donne; la bevanda alcolica più utilizzata da questi ultimi è la birra, bevanda di largo consumo utilizzata principalmente nelle discoteche ma che trova spazio in qualunque momento della giornata.
Ecco un problema che, spesso, si ignora, si finge di non vedere. A quanti di voi è capitato di vedere ragazzi (e ragazze) che durante una festa si ubriacano, amici o figli di amici; in queste circostanze quanti hanno pensato: “è una ragazzata”, “lo fanno per divertirsi”. E quanti di voi, ragazzi, ha organizzato o partecipato ad una serata dicendo: “stasera beviamo e ci divertiamo”.
Ma perchè per divertirsi occorre bere? Come mai I ragazzi non sono più capaci di stare insieme agli altri per il solo piacere di stare insieme? Un modo di giustificare i ragazzi che bevono è quello di pensare che sia il loro modo per affrontare la crescente apprensione per la vita quotidiana che, nella maggior parte dei casi contribuisce a deteriorare i rapporti umani. In questo mondo, in tumultuoso e rapido progresso, i giovani, a volte, non trovano spazio per integrarsi ed ognuno di loro reagisce in modo diverso ai problemi della vita: chi ha un carattere forte, riesce a superare tutto, magari con una buona dose di menefreghismo o indifferenza, mentre chi ha un carattere debole, vulnerabile, affronta la sua insoddisfazione ed il suo timore della vita ricorrendo all'alcool per non pensare a cosa fare da grande.
Ma è veramente così o il voler giustificare tutto a tutti i costi ha portato i ragazzi a non assumersi le responsabilità delle loro azioni? A non pensare che forse la soluzione dei propri problemi sta al di fuori di una bottiglia di alcool o della droga; ragazzi, ragionate con la vostra testa non con quella della pubblicità o di quelli che non sono veri amici. Avete un problema? Affrontatelo con tutte le vostre paure, è sempre meglio che fingere di non vederlo e permettergli di ingigantirsi al punto di volerlo ignorare sempre di più. E noi, adulti, come possiamo aiutare I nostri figli ad affrontare la vita, a superare tutti I problemi che sorgono giorno dopo giorno? Non dimentichiamoci che spesso le azioni dei nostri figli sono reazioni alle nostre azioni o “non azioni”; non pensiamo che farli studiare, pagare il dottore, vestirli ecc... esaurisca il nostro compito di genitori, e il dialogo? E la forza e il coraggio che dobbiamo inculcargli per poter superare tutti gli ostacoli? E la presenza quotidiana? Non nascondiamoci dietro alle giustificazioni del tipo: “ma io lavoro tutto il giorno”; va bene, ma se veramente vogliamo conoscere I nostri figli (che è già di per sè un impresa difficile) il tempo lo dobbiamo trovare noi, senza aspettare che sia troppo tardi per porre rimedio ai nostri errori.
Io penso che il tran-tran quotidiano, l'affanno per affrontare la vita e il mondo sociale, incute timore anche a noi “adulti”, che nascondiamo la testa nella sabbia pur di non vedere i reali problemi e che corriamo da un posto all'altro senza fermarci a riflettere un momento. Ma noi siamo “grandi”, siamo l'esempio per i nostri giovani, allora facciamo in modo che possano pensare a noi come a delle persone con un po' più di esperienza che all'occorrenza possono anche consigliare il meglio (o il male minore). Già, sembra facile, ma come facciamo? Beh, purtroppo non c'è una ricetta, uno il rapporto lo deve costruire giorno dopo giorno (fin dalla nascita), nelle piccole e grandi occasioni; ad esempio, guardare un film assieme e commentarlo, scegliere insieme il posto in cui trascorrere le vacanze, scegliere insieme i regali da fare a Natale, ed una infinità di altre cose.
Questo, ovviamente, non può garantirci che i nostri figli da grandi non cadano nei tunnel di questa società (alcool, tabagismo, droga ecc...), possiamo solo sperare di riuscire ad instaurare quel minimo di rapporto che gli consenta di confidare a noi i loro disagi e che ci consenta di capire i loro periodi di crisi, i loro problemi, ed indurli ad accettare il nostro aiuto. Il nostro compito è provarci instancabilmente.
E voi, ragazzi, non chiudetevi in un ostinato mutismo; non nascondetevi dietro ad una bottiglia di birra, vino o altro, tanto dopo la sbronza i problemi ritornano inesorabili, quindi a che pro danneggiare voi e gli altri? Per quanto possa sembrare che i vostri genitori non vi capiscano, o che pensino solo al lavoro, parlate con loro e se non vi ascoltano subito, riprovate (anche noi ogni tanto dobbiamo essere presi per le orecchie), per ogni problema c'è sempre una soluzione e la si può trovare solo ragionando insieme; certo se avete fatto uno sbaglio avrete anche la vostra bella ramanzina, che dovrete affrontare con la consapevolezza che se avete sbagliato ve la meritate, ma dopo si trova insieme il modo di risolvere il problema e, se anche non si trova subito una soluzione, comunque si trova la forza di affrontarlo e superarlo “insieme”.
Non pensate che queste siano solo “belle parole”, vogliono solo essere un incitamento a trovare la forza di affrontare le avversità della vita (che sono tante), una forza che si può trovare insieme a chi amiamo. Non nascondiamoci, non ignoriamo l'inevitabile, prima lo affrontiamo, prima lo superiamo. Forza e coraggio, nessuno di noi è solo.


Avv. Arturo Varricchio


pubblicato su Benevento Giornale - la Voce del Sannio il 1 settembre 2009

venerdì 24 aprile 2009

IL MATRIMONIO E’ ANCORA UN SACRAMENTO INDISSOLUBILE?

http://nuovacamelot.myblog.it/2009/04/24/il-matrimonio-e-ancora-un-sacramento-indissolubile/




Come ben sappiamo, il nostro codice civile prevede la possibilità per due coniugi, che non vogliono più stare insieme, di ottenere prima la separazione e di seguito il “divorzio”, vale a dire lo scioglimento del vincolo matrimoniale sotto il profilo civilistico; ma, oggi come oggi, sembra che siano in aumento le richieste di “NULLITA’ DEL MATRIMONIO CONCORDATARIO”.
Attenzione, mentre la sentenza di divorzio dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio, dal momento della pronuncia, facendo quindi salvi i diritti e doveri acquisiti durante la vita matrimoniale, la sentenza di NULLITA’ del matrimonio, che viene emessa dal Tribunale ecclesiastico, sancisce in modo definitivo che il MATRIMONIO NON E’ MAI AVVENUTO.
Anche dopo venti o trent’anni di matrimonio, in cui due persone costruiscono una vita insieme fatta di cose patrimoniali, non patrimoniali, condivisione di gioie, dolori e una miriade di sfaccettature che possono ornare venti anni di vita in comune, dalla quale unione nascono magari dei figli… bene se uno dei due decide che vuole ottenere la nullità del matrimonio e ritenere così che questi anni non sono passati… può farlo.
Sia chiaro che non è tanto facile (come bere un bicchiere d’acqua), perchè, comunque, il tribunale ecclesiastico svolge indagini approfondite in proposito, però è possibile.
Tralasciando l’aspetto procedurale, oggi affrontiamo più che altro l’aspetto culturale e morale della questione; ebbene sembra alquanto contraddittorio che proprio la Chiesa che ha sempre combattuto (e ancora oggi condanna ) la separazione dei coniugi ed il divorzio, abbia poi aperto le porte a varie possibilità di ottenere lo SCIOGLIMENTO, anzi la NULLITA’ DEL SACRAMENTO MATRIMONIALE.
Fino ad un pò di tempo fa, il diritto canonico consentiva si l’annullamento del matrimonio ma soli in pochi ed eccezionali casi (es. Dopo il matrimonio uno dei due scopre che l’altro non vuole avere figli), mentre oggi sembra che le possibilità e le motivazioni siano molteplici, anche se poi devono comunque essere dimostrate pienamente.
Il problema non si pone quando il matrimonio dura da poco tempo e magari effettivamente ci sono valide motivazioni per dichiararne la Nullità, è anche giusto che entrambi (gli ex coniugi) possano ricostruirsi una vita e, se lo desiderano, ottenere un sacramento valido, ma è alquanto difficile accettare di poter cancellare, con un colpo di spugna, 20 o 30 anni di vita insieme, soprattutto se parliamo di vita passata in unione sacramentale, come si fa poi a dire “no guarda, questo sacramento non c’è mai stato”; e i figli nati da questo matrimonio? Da figli legittimi diventano figli naturali, vero che sostanzialmente non cambia nulla riguardo al loro status, intanto però occorre affrontare un’altra causa per ottenere e concedere loro ciò cui hanno diritto, e il loro animo cosa deve sopportare? Nel loro pensiero come si evolve questa situazione? Noi come riusciamo a spiegargli tutto questo in parole povere e comprensibili? Per loro è già difficile quando c’è una separazione civile figuriamoci con il completo annullamento del matrimonio, fondamento sacro di una famiglia.
Inoltre, che ne è dei valori della vita? Oggigiorno, sono così pochi I valori tangibili che tentiamo di trasmettere ai nostri figli e che, oltretutto, vengono continuamente minati dalla quotidianità sociale, ed uno di questi è proprio l’indissolubilità e la sacramentalità del matrimonio. Chi crede in questo sacramento, prima di fare il grande passo ci pensa più e più volte e, comunque, si impegna per mantenere l’armonia familiare; trattandosi comunque di una scelta che ti impegna per la vita, per quanto uno cerchi di farla con consapevolezza, può succedere di rendersi conto di aver fatto un grave errore e di volervi porre rimedio. In tali casi la legge è intervenuta a dare (giustamente) la possibilità di correggere uno sbaglio che può danneggiare i figli (anche se a volte si abusa di tale strumento); la Chiesa, dal canto suo, ha sempre previsto la possibilità, in pochi ed eccezionali casi, di sancire la Nullità del matrimonio, ma adesso sembra che tale ipotesi sia ampliata al punto che, in contrasto con i suoi stessi dogmi, la Chiesa stessa dà la possibilità di dire: “oh, scusa, ma io non volevo veramente sposarmi”, e se si dimostra che al momento dell’unione, non c’era la reale volontà, il matrimonio non è mai esistito.
Quindi, a quanto pare ciò che conta è la “riserva mentale”? Ma se è così, quanti di noi possono dire di aver contratto il matrimonio senza alcuna riserva? Penso che se analizzassimo il pensiero di ogni persona che stà per sposarsi, una riserva si troverebbe sempre, anche solo il pensare: “speriamo che sia la donna (o l’uomo) giusto”; “speriamo che sia la persona che conosco realmente” ecc….Non sono anche queste riserve mentali?
Sembra veramente di essere passati da un eccesso all’altro, ed è oltremodo contraddittorio se si considera che chi è separato rischia di non avere l’assoluzione al termine della confessione e, addirittura può succedere che non consentano l’ingresso in Chiesa o la Comunione.
Attenzione che questa non vuole essere una rimostranza per la Chiesa, perchè, ripeto, ci sono veramente dei casi in cui è necessario e giusto ottenere l’annullamento AB ORIGINE di una unione sbagliata, così come è giusto che chi non riesce più a condurre una vita serena o peggio logora la vita dei figli, possa ottenere il divorzio, ciò che conta è che non si dia la sensazione di poter abusare degli strumenti offerti, pensando di poter prendere ogni decisione senza assumersene le responsabilità; ma, soprattutto non si deve posporre sempre il bene e la serenità dei figli per quello che, poi, potrebbe rivelarsi solo un momentaneo sbandamento.
Ma, se consideriamo il fatto che a volte ciò che leggiamo è solo frutto di una esagerazione, di un passaparola esasperato, allora dobbiamo anche considerare la possibilità che tutte le informazioni, da dovunque arrivino, devono comunque essere prese con le c.d. ”pinze”, e devono essere approfondite nelle sedi più opportune. Personalmente, intendo approfondire maggiormente la problematica con la persona che ritengo più idonea a fornire delucidazioni in proposito, ma penso di poter sostenere (da profana) che il fatto che molti giornali sottolineino che sono in aumento le richieste di NULLITA’ del matrimonio, non ha lo scopo di evidenziare che tale sacramento non è più un valore, ma solo quello di far conoscere che, in determinate circostanze esiste anche tale possibilità. Starà poi a noi, in base alle reali necessità e condizioni, decidere secondo coscienza.
In conclusione, credo che ognuno di noi debba pensare con la propria testa e con la propria anima, senza farsi condizionare da affermazioni a volte esagerate o dalla tendenza del momento; sicuramente c’è chi abusa o abuserà di tale strumento, ma chi può passarsi una mano sulla coscienza e dire tranquillamente: “il nostro matrimonio non è mai esistito”, sapendo che non è vero?

                                                                                                                                     Avv. Alina Nano





UN PENSIERO SU “IL MATRIMONIO E’ ANCORA UN SACRAMENTO INDISSOLUBILE?”
benjamin il 28 aprile 2009 alle 12:15 scrive:

i miei complimenti….un intervento davvero interessante ed illuminante su una problematica di rilevante impatto sociale che non accenna a diminuire nella sua portata negli anni ma che, anzi, è in costante aumento e che peraltro investe tutto il globo terrestre, non soltanto l’Italia o l’Europa…..al riguardo vorrei offrire qualche spunto di riflessione ulteriore mettendo in evidenza alcuni dati statistici sul fenomeno , apparsi in un articolo sul Corriere della Sera : ” nel 2005 i matrimoni religiosi sciolti dai Tribunali ecclesiastici statunitensi in primo grado sono stati ben 24.343, le sentenze contrarie appena 998; sempre nel 2005, le domande presentate negli Usa sono state 28.844 e in tutto il mondo 48.655, cioè quasi 50.000; in quanto alla sola Rota Romana, autentica Cassazione mondiale dei tribunali ecclesiastici, al 1 gennaio 2008 le cause aperte provenienti dall’Italia erano 421, contro le 215 del 1999 o le 331 del 2003″. ” Per queste ragioni il Papa, nel suo discorso al Tribunale del 26 gennaio per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha attaccato «le giurisprudenze locali, sempre più distanti dall’interpretazione comune delle leggi positive e persino dalla dottrina della Chiesa sul matrimonio ». E ha condannato la «compilazione di regole astratte e ripetitive, esposte al rischio di interpretazioni soggettive e arbitrarie» ricordando che la Rota «influisce molto sull’operato delle chiese locali». Non per niente la Rota Romana ha già cominciato a invertire la tendenza. Nonostante la quantità di cause pendenti, nel 2007 le sentenze definitive di nullità sono state 160, di cui 79 per la nullità e 81 contrarie. Nel 2006 erano stato 172, di cui 96 per la nullità e 76 contrarie”.
” Gli Usa sono una spina nel cuore di Roma: troppo spesso viene invocato il canone 1095 del codice di diritto canonico che prevede i casi di «incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio», una sorta di «incapacità psichica» e di «immaturità affettiva». Concetti molto vasti, come si vede. Per di più negli Stati Uniti il secondo appello viene quasi sempre sostituito da un rapido decreto di ratifica. Un anno o poco più, e il gioco è fatto ” .

sabato 24 gennaio 2009

Anatocismo bancario


Questa settimana affrontiamo una problematica molto diffusa ed attuale, quella dell'anatocismo bancario.
Con il termine anatocismo si intende la capitalizzazione degli interessi sul capitale, affinchè essi siano a loro volta, produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi). Nella prassi bancaria si parla di “interessi composti”e viene effettuata con periodicità trimestrale o semestrale,
Occorre premettere che, trattandosi di un argomento alquanto difficile e tuttora in corso di chiarimenti e precisazioni da parte della Corte di Cassazione, e verrà affrontato in modo da renderlo il più comprensibile possibile ma, difficilmente la sua trattativa in questa sede potrà essere esauriente.
Partendo dalla sua definizione, ci occuperemo di chiarire come questo veniva applicato dalle banche, nel periodo antecedente i vari interventi della Corte di Cassazione (dal 1999 in poi).
Il fenomeno dell'anatocismo bancario è quella pratica, in uso fino a pochi anni or sono presso quasi tutte le banche italiane, secondo cui gli interessi a debito del correntista venivano liquidati (sul conto) con frequenza trimestrale, mentre gli interessi a credito dello stesso erano liquidati con cadenza annuale.
Ciò provocava un disallineamento nella maturazione degli interessi a debito ed il conseguente fenomeno dell'anatocismo, perché venivano calcolati interessi su interessi, secondo le modalità sopra descritte; tutto ciò andava quindi ad incidere in modo pregnante sui costi del conto corrente, dei prestiti e, di conseguenza, sulla capacità economica della famiglia o delle imprese.
Facciamo un esempio: se un correntista aveva un conto “in rosso” per 10.000 €, la banca gli addebitava ogni tre mesi i relativi interessi; in questo caso, ad un tasso del 10%, erano 250 euro che andavano a gravare subito (senza attendere la fine dell’anno) sul capitale a debito. Quindi, i successivi interessi a debito venivano calcolati non più su 10.000 € ma su 10.250 € e così via; con questo sistema il correntista si trovava a pagare, a fine anno, un monte interessi più alto rispetto ad un calcolo annuale.
Nell'ordinamento giuridico italiano, è sempre esistito il divieto dell'anatocismo (art. 1283 del Codice Civile).
Ciò nonostante, le Banche agivano “legittimamente” quando applicavano detta metodologia di calcolo, perché tale comportamento era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza. Il tutto fino al momento in cui è iniziato tutto il processo di revisione interpretativa delle norme riguardanti l'anatocismo, con le sentenze cosiddette della “primavera del 1999”, e fino alla famosa sentenza della Corte di Cassazione del 4 novembre 2004, n. 21095.
Prima di questa sentenza, l'art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/1999, comma 2, (che ha introdotto un nuovo comma all'art. 120 del Testo Unico Bancario, D. Lgs. n. 385/1993), prevedeva la possibilità di stabilire, tramite un'apposita delibera del CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio), le modalità ed i criteri di produzione degli interessi sugli interessi, maturati nell'esercizio dell'attività bancaria, purché fosse rispettata la stessa periodicità nel conteggio sia dei saldi passivi, sia di quelli attivi. Successivamente, la sentenza del CICR emanata il 9 febbraio 2000, ha definitivamente fissato il momento di decorrenza dell'obbligo, a carico delle Banche, di riconoscere ai correntisti pari periodicità nella liquidazione degli interessi.
Nondimeno, nello stesso decreto n. 342/1999 (c.d. Decreto salva-banche), il legislatore stabiliva nel contempo, con norma transitoria, una vera e propria sanatoria per il pregresso, facendo salve le clausole di capitalizzazione trimestrale contenute nei contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina.
Tale norma transitoria è stata però dichiarata illegittima per violazione dell'articolo 77 della Costituzione, dalla Corte Costituzionale con sentenza del 17 ottobre 2000 n. 425.

Il processo di revisione al momento si può considerare concluso con la già citata sentenza del 4 novembre 2004 n. 21095, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella quale in sostanza si afferma l’illegittimità, anche per il passato, degli addebiti bancari per anatocismo.
In sostanza, la Corte afferma che le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori precedenti al 1999, non sono mai state rispondenti ad uno uso normativo, bensì negoziale e quindi in contrasto con il principio contenuto nell’art. 1283 che, laddove fa salvi gli “usi contrari”, fa riferimento solo ed esclusivamente agli “usi normativi” di cui agli articoli 1 e 8 disp. Prel. C.C..
L’uso normativo consiste infatti, come riportato nella sentenza, nella “ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento, accompagnato dalla convinzione che si tratta di comportamento giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento giuridico” (sentenze 2374 e 3096 del 1999).
In altre parole le clausole anatocistiche sono state accettate non perché gli utenti fossero convinti della loro rispondenza a principi dell’ordinamento giuridico, ma piuttosto perché costretti ad accettarle per poter accedere ai servizi bancari.
Questo atteggiamento psicologico è ben lontano da quella spontanea accettazione che contraddistingue invece la consuetudine come istituto giuridico.
Ne consegue che, (come da orientamento oramai costante della Corte di Cassazione: Cass. Civ. 18 settembre 2003, n. 13739; Cassazione Civile, Sez. I, 1 ottobre 2002, n. 14091; Cassazione, Sez. I, 28 marzo 2002 n. 4498; Cassazione, Sez. I, 28 marzo 2002 n. 4490; Cassazione, Sez. I, 1° febbraio 2002 n. 1281; Cassazione, Sez. I, 11 novembre 1999 n. 12507; Cassazione, Sez. III, 30 marzo 1999 n. 3096), si dovranno ritenere nulle tutte le clausole bancarie riguardanti l'anatocismo, il cui inserimento nel contratto sia il frutto di una mera volontà unilaterale della banca (c.d. Clausole vessatorie).
Non solo. Anche le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dovuti dal cliente ad una banca sono nulle, in quanto esse non rispondono ad un uso negoziale, anche se le stesse siano nel contratto specificate come "conformi alle norme bancarie uniformi”.
Il merito della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione è quello di confermare tale orientamento partendo dalla constatazione che gli utenti si sono adeguati alla imposizione della capitalizzazione trimestrale dell'interesse passivo, non perché "convinti" che fosse conforme alla normativa del settore, ma perchè capziosamente inserita nei moduli unilateralmente predisposti dalle banche, la cui sottoscrizione costituiva elemento imprescindibile per poter accedere ai servizi bancari.
Le clausole anatocistiche, quindi, sono da considerarsi sempre e comunque invalide, anche quelle relative a rapporti bancari anteriori al 1999.

Venendo ora ad affrontare l'aspetto pratico della questione, la domanda che viene frequentemente posta è questa: “E’ possibile chiedere la restituzione di quanto pagato indebitamente?
Personalmente, mi auguro che si possa seguire una strada transattiva senza intasare i tribunali (o giudici di pace per importi più modesti), dimostrando in tal modo alla collettività ragionevolezza e, soprattutto, una forma di ritrovata e reciproca fiducia, quale unico e vero patrimonio di ogni sistema creditizio.
Detto questo, “SI”, è possibile chiedere la restituzione delle somme indebitamente versate alle banche, chiedendo la rideterminazione del capitale preso in prestito mediante applicazione ad esso degli interessi passivi annuali e non di quelli trimestrali.
E’ necessario, tuttavia, che la restituzione venga richiesta entro 10 anni dall’estinzione definitiva del rapporto contrattuale con la banca. (ovvero entro 10 anni dalla fine del rapporto di mutuo o di altro rapporto bancario in forza del quale l’istituto di credito abbia concesso finanziamento al cliente ).
Se, nonostante ciò, la banca non aderisce alla richiesta, è necessario agire in giudizio.

Avv. Arturo Varricchio


pubblicato su Benevento Giornale - La voce del Sannio il 24 gennaio 2009